Recensione: "Un bene al mondo" di Andrea Bajani

Titolo: Un bene al mondo
Autore: Andrea Bajani
Pagine: 134
Prezzo di copertina:16,50 euro
Prezzo ebook: 8,99 euro
Editore: Einaudi

Sinossi:
Un bene al mondo racconta di un paese sotto una montagna, a pochi chilometri da un confine misterioso. Un paese come gli altri: ha poche strade, un passaggio a livello che lo divide, e una ferrovia per pensare di partire. Nel paese c'è una casa. Dentro c'è un bambino che ha un dolore per amico. Lo accompagna a scuola, corre nei boschi insieme a lui, lo scorta fin dove l'infanzia resta indietro. E ci sono una madre e un padre che, come tutti i genitori, sperano che la vita dei figli sia migliore della loro, divisi tra l'istinto a proteggerli e quello opposto, di pretendere da loro una specie di risarcimento.Ma nel paese, soprattutto, c'è una bambina sottile. Vive dall'altra parte della ferrovia, ed è lei che si prende cura del bambino, lei che ne custodisce le parole. È lei che gli fa battere il cuore, che per prima accarezza il suo dolore. Un bene al mondo è una storia d'amore e di crescita di un'intensità e di una poesia travolgenti. È una storia universale, perché racconta quanto può essere preziosa la fragilità se non la rifiutiamo. Basta cercarsi su una mappa, disseminare parole per trovarsi, provare altre strade e magari perdersi di nuovo.Viviamo tutti, sempre, nel momento in cui l'infanzia finisce. E non c'è punto piú intenso da cui possa nascere un romanzo. Dentro questa storia ci sono un bambino come tanti, un dolore che l'accompagna come il piú fedele degli amici e una bambina sottile che si prende cura di loro. Ci sono le ferite degli adulti, stretti tra richieste di risarcimento e protezione. C'è soprattutto la scoperta che la fragilità è una ricchezza.


L'ultimo libro di Andrea Bajani è uno di quei volumi sottili, di poche pagine che i più, all'apparenza, considererebbero una lettura facile e veloce da incastrare nell'intervallo tra tomi maggiormente corposi ma io, che qualche esperienza in fatto di libri sottili, densi e pungenti come spine ce l'ho, non ero della stessa opinione. Non conoscevo l'autore, pure prolifico in diversi campi letterari tra cui quello poetico, e probabilmente la conoscenza, letteraria e non, non sarebbe avvenuta in tempi brevi se, non mi fossi trovata ad una delle presentazioni che Bajani ha tenuto dalle mie parti e un'amica che conosce bene i miei gusti letterari non mi avesse vivamente consigliato Un bene al mondo.
Io, scettica, ché non mi sono mai ritenuta tipo da poesia né avevo molta voglia di esplorare ancora più a fondo il Dolore e le sue varie sembianze, mi sono ricreduta a fine lettura, mettendoci un po' a ordinare nuovamente le idee, a trovare le parole che non volevano saperne di arrivare, tanto da avermi fatto gettare la spugna - ed alcuni fogli di carta - nel proposito di scriverne qui.
Perché Un bene al mondo è piccolo, fragile come il proprio protagonista, poetico, malinconico e universale come i versi di Leopardi presi in prestito per il titolo.
Bianco e nero, il tempo apparentemente cristallizzato in un paesino tra i monti di quelli dove non accade nulla, provvisto di case e chiesa, una piazza, una scuola, il cimitero a segnare i confini con il bosco, il passaggio a livello a delimitare l'area oltre la ferrovia, un altro mondo proibito da attraversare per trovare conforto, sollievo, una cura al dolore grande che azzanna a tradimento e, forse, l'amore.
Uno zainetto rosso unica nota di colore da portarsi dietro nelle scorribande tra i boschi, nei picnic vicini alle rotaie ad osservare i treni pieni di gente che se ne va, che ce l'ha fatta a trovare il coraggio di andare a vivere, sognando, un giorno non troppo lontano, di essere tra loro. La felicità era chiudere a chiave le cose belle che erano successe. Diventare grande con le cose che aveva vissuto e poi non vivere più. [...]E, tra tutte le cose,quella era la cosa più triste.
Una favola nostalgica che spiazza, svuota e fa male, toccando le corde nascoste in ognuno di noi perché tutti, prima o poi, veniamo a contatto con il male di vivere di cui parla Montale; e anche se non ricordava quasi niente di quei giorni, sapeva che c'erano dei dolori che non facevano male a nessuno e che ce n'erano altri [...] che avrebbero potuto ammazzare. Qualcuno rimane vittima, altri imparano a (soprav)vivere nonostante. Ciò che non uccide fortifica, dicono; forse ci rende solo più fragili.

Commenti

  1. Mi sembra interessante! Non lo conoscevo e ora sono tentata.
    Ciao da Lea

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Dipende da tanti fattori, Lea, ma forse avresti la giusta dose di sensibilità per reggerlo e capirlo a fondo, addirittura più di me, forse. :)

      Elimina
  2. Cecilia, non conosco l'autore ma prendo un appunto. Credo sia una lettura che potrebbe fare al caso mio, uno spunto di riflessione :)

    RispondiElimina
  3. Cecilia <3 Sai quanto mi ispiri questo libro, ne abbiamo già parlato, e sai anche che potrebbe piacermi moltissimo. La tua recensione, poi, è una delle più belle. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Se c'è una persona a cui mi sento di consigliarlo senza esitazione, quella sei tu, Siham :)

      Elimina
  4. confesso la mia NON conoscenza dell'autore e del libro.
    la poesia racchiusa nella tua recensione però mi spinge a curiosare. lo leggerò, non so quando ma lo farò di certo :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Chicca, mi auguro si possa rivelare anche per te una lettura densa di significato :)

      Elimina
  5. Chapeau Cecilia... Meraviglioso il tuo modo di parlare di dolore e fragilità. Lo leggerò, grazie <3

    RispondiElimina

Posta un commento

I commenti sono fondamentali per lo scambio di opinioni e la crescita culturale di ogni persona che passa da questa Sala; dunque, se vorrai lasciarne uno, saremo ben felici di sapere quale sia il tuo pensiero :)

Grazie.